Originariamente, si richiedeva e ci si aspettava che i samurai fossero perfettamente in grado di usare diversi tipi di armi e di combattere disarmati, sviluppando così l'assoluta maestria nelle capacità di combattimento. Il samurai infatti, era un militare del Giappone feudale appartenente alla casta aristocratica dei guerrieri.
Il nome “Samurai” significa letteralmente "colui che serve". (Il termine viene tuttora usato per indicare proprio la nobiltà guerriera). I samurai che non servivano o dei quali veniva persa la fiducia, erano chiamati “Rōnin” ossia "libero da vincoli", ma assumeva sempre un significato dispregiativo. costituivano una casta colta, che oltre alle arti marziali, direttamente connesse con la loro professione, praticava arti zen come il cha no yu (arte del the) o lo shodō (arte della scrittura).
Durante l'era Tokugawa persero gradualmente la loro funzione militare divenendo dei semplici rōnin che spesso si abbandonavano a saccheggi e barbarie. Verso la fine del periodo Edo i samurai erano invece essenzialmente designati come i burocrati al servizio dello shōgun (signore aristocratico/proprietario terriero) e la loro spada veniva usata soltanto per scopi cerimoniali, per sottolineare la loro appartenenza di casta.
Capire quanto l’onore contasse nella vita di un samurai è difficile per noi occidentali Per gli antichi giapponesi durava tutta una vita.
I samurai non temevano la morte, al contrario la ricercavano in ogni momento. L’harakiri era il modo più onorevole per ripristinare un onore perduto
La casta dei samurai durò fino alla fine del 1800. La colpa della loro fine fu dell’imperatore Meiji, che cercò di occidentalizzare il Giappone in tutti i modi. Con due nuovi editti obbligò il taglio del codino dei samurai e proibì loro il diritto di portare le armi in pubblico.
Un’umiliazione senza precedenti, che segnò il termine di una figura secolare.
Il rigido codice d’onore che il samurai faceva proprio si chiamava bushido. Era un insieme di regole da seguire per la buona condotta non soltanto in battaglia, ma anche nella vita e nonostante le evoluzioni del tempo il bushidō è sopravvissuto ed è ancora, nella società giapponese odierna, un nucleo di principi morali e di comportamento simile al ruolo svolto dai principi etici religiosi nelle società occidentali attuali.
Il samurai si paragonava a un fiore di ciliegio (in giapponese sakura): al primo soffio di vento cade, ma mantiene la sua perfezione; allo stesso modo il guerriero doveva vivere nella perfezione, nell’idea che ogni istante potrebbe essere l’ultimo.